Gentile Presidente Premio Greencare,
ho letto con particolare interesse la rassegna stampa prodotta sulla meritevole iniziativa di pulizia del Giardino Principessa Jolanda a Capodimonte, iniziativa curata da un pool di associazioni, imprese e dal Direttore di Reggia e Parco di Capodimonte. Inutile dire che sono attenta a tutto quanto riguarda il verde storico napoletano sia per una passione congenita e che per la professione che svolgo da molti anni. In questo caso però c’è un motivo in più ed è legato al fatto che ho curato il restauro di questo giardino, restauro che, tra studi documentali, progetto redatto con gli agronomi del Servizio Giardini del Comune ed esecuzione dei lavori è durato dal 1997 al 2003. Tra la fine degli anni ’90 e 2000, proficui per i giardini storici grazie alla sensibilità dell’assessore all’Ambiente Dino Di Palma, sono state numerose le inaugurazioni festose, gli articoli sulla stampa e i grandi impegni ufficiali a mantenere con l’ordinaria manutenzione lo status ottimale raggiunto. Ho capito subito che i giardini restaurati sarebbero stati lasciati alla generosità della Natura a causa dei mutamenti amministrativi e delle variate situazioni economiche, che hanno portato ad altre priorità. In questa occasione trovo opportuno ricorrere ad un tono più personale per far comprendere la frustrazione che si prova quando, dopo tanto lavoro, non resta più che un prato giallo, fontane -peschiere all’asciutto, arbusti ed erbacee del tutto assenti, spazzatura in abbondanza, come ho avuto modo di vedere nel vostro video e, in aggiunta da altre fonti, una tendopoli di senza tetto.
Per questi motivi confesso che, vivendo a Napoli, ho evitato di tornare dopo anni sul luogo del delitto, cioè nei giardini che ho restaurato.
L’ottocentesco Tondo di Capodimonte con il Giardino Principessa Jolanda è uno dei pochi giardini napoletani di autore, con una articolata composizione all’inglese. All’epoca non esisteva neanche più una aiuola e, come oggi, nessun apparato vegetale arbustivo, nel cosiddetto Tondo era stato realizzato un piccolo parco giochi con giostrine varie ricoprendo i viali e la fontana centrale.
La difficoltà è stata quella di ridisegnare correttamente il giardino informale superiore secondo i documenti iconografici storici e riformare con la vegetazione l’alternanza di pieni e di vuoti propria di questo tipo di giardino.
Ci è stato molto utile un eccezionale documento riportante l’elenco delle piante voluto dal Niccolini.
Nell’esedra tufacea sono state ripulite le grotte dagli ingressi ogivali che portavano alla cisterna, e la peschiera ellittica con rocailles di schiuma di lava, ricostruita pietra per pietra per accogliere un gioco di zampilli come nella vasca presente nel Tondo. Rose a profusione, Mesembryanthemum e una corona di agrumi impreziosivano l’esedra come citazione dell’impianto del 1836.
Ricordo nostalgico del tempo che fu? Sono passati solo 17 anni. D’ altra parte questo giardino ha seguito le sorti di tutti i giardini napoletani. Nessuna programmazione, nessuna manutenzione ordinaria che avrebbe evitato il ricorso, che spero ci sarà in futuro, a nuovi interventi di manutenzione straordinaria se non di restauro. Anche il ricorso al volontariato andrebbe programmato prima di giungere a questo stato estremo.
Non posso fare a meno, purtroppo, di chiudere con una considerazione, che certamente susciterà qualche perplessità. Non è la prima volta che, grazie all’intervento di pulizia del volontariato, si riapre al pubblico qualche giardino e ogni volta, come ieri a Capodimonte, sono presenti rappresentanti delle istituzioni comunali, che puntualmente, come è costume da qualche anno, si autoassolvono da ogni responsabilità. Altrove, trattandosi di una supplenza alla inefficienza pubblica, non sarebbe successo.
Maria Luisa Margiotta
Maria Luisa Margiotta è architetto paesaggista. Ha insegnato storia del paesaggio e del giardino alla Seconda Università degli Studi di Napoli Vanvitelli. Ha restaurato numerosi parchi e giardini campani, tra i quali il Parco borbonico di Portici.
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