E’ stato a causa di un itinerario di viaggio errato che per la prima volta mi sono imbattutto nel complesso soprannominato “Casina Spinelli”* lungo la strada provinciale che da Maddaloni conduce ad Acerra e che attraversa quella parte della piana di Napoli, attualmente nota ai più come “terra dei fuochi”, a causa della triste etichetta impostale dalla recente saggistica e dalle cronache giornalistiche.
Un cartello giallo e malandato con la scritta “antica città di Suessula” è stato ciò che mi è apparso all’improvviso mentre percorrevo questa lunga strada rettilinea, battuta dai mezzi pesanti che smistano i prodotti delle numerose industrie presenti nei dintorni.
Eppure questo lampo di fuoco (sic!) mi ha illuminato e fatto scoprire il primigenio aspetto di un paesaggio oggi celato sotto l’arida denominazione di zona industriale. La “Casina Spinelli”, sebbene in stato di evidente disfacimento, ha catturato la mia attenzione con la maestosità delle grandi arcate tompagnate da vetrate che conferiscono un’aria altera e sinistra al corpo centrale del fabbricato, proteso verso la strada. Svettano altissime ancora alcune palme dal cortile interno e le pareti perimetrali sono in parte ricoperte da vegetazione infestante.
L’edificio, che ingloba anche una torre di epoca longobarda, è nato infatti come residenza di caccia del re Ferdinando IV, nella seconda meta del ‘700, quando la zona, per la presenza di estese aree boschive (Bosco Calabricito), ben si prestava all’attività venatoria ed ha assunto l’attuale denominazione quando, verso fine 800, è passato in proprietà alla famiglia Spinelli che l’ha indissolubilmente legata alla storia dell’archeologia.
Il barone Marcello, infatti, grande appassionato di arte, proprio qui, nei vasti possedimenti di sua proprietà, intraprese numerosi scavi riportando alla luce migliaia e migliaia di vasi, monili in bronzo e in oro, risalenti ad un arco temporale che va dal IX al III sec. a.C.
La vasta collezione, che successivamente si capì essere pertinente alla necropoli dell’antica città osco-sannitica di Suessula, fu raggruppata nei grandi saloni della villa in vetrine di legno,accuratamente progettate per una comoda fruizione visiva e fu oggetto di studio da parte dei più grandi cultori di antichità cui il Barone, da perfetto “gentiluomo di campagna”, ben volentieri offriva accoglienza ed ospitalità.
Durante il secondo conflitto mondiale, quando la Casina era occupata dalle truppe americane, venne visitata anche da Amedeo Maiuri, all’epoca Soprintendente ai Beni Archeologici della Campania, che, nel verificarne il corretto stato di conservazione durante un sopralluogo, rimase divertito nel constatare che una kylix era stata prelevata dalle vetrine e usata dai soldati per bere whisky, in pieno accordo con la originaria funzione potoria dell’antico vaso. Purtroppo proprio nel periodo bellico la collezione subì dei furti, limitati soprattutto alla parte dei monili in oro antico che, particolarmente apprezzato, prese il nome di “oro spinelli”. Successivamente, la collezione fu donata dalla consorte del Barone al Museo Archeologico Nazionale di Napoli che ne espone tuttora una accurata selezione di pezzi.
Negli anni ‘90 del secolo scorso la parte compresa tra la strada provinciale tra Acerra e Maddaloni e la Casina Spinelli è stata oggetto di scavi archeologici, riportando alla luce la zona del foro,insieme con alcuni edifici pubblici dell’antica Suessula che costeggiano anche la strada poderale che si inoltra verso l’interno e il cui nome, “via sorgenti del Riullo”**, è evocativo della altrettanto preziosa testimonianza, stavolta di origine naturale, ivi presente: una sorgente di acqua termale. Il Riullo è, infatti, un affluente del più noto fiume Clanio che, nei secoli scorsi, con i suoi frequenti straripamenti ha causato l’impaludamento della pianura di Napoli, poi evitato con la costruzione, nel 1600, della rete di canalizzazioni denominata Regi Lagni.
Le acque della sorgente, dalle ben note proprietà curative, furono determinanti per la nascita dell’insediamento osco-sannitico nelle sue immediate vicinanze che, in epoca romana, videro anche l’innalzamento di un tempio dedicato, molto probabilmente, proprio ad una divinità protettrice delle acque.
In epoca moderna invece, le acque sorgive sono state convogliate nei cosiddetti “fusari”, vasche per la macerazione della canapa, o per alimentare mulini per la produzione di farine.
Inutile sottolineare la mancanza di un progetto (pure teorizzato, ma mai attuato) di recupero e ripristino sia delle strutture sia dell’ originario paesaggio, che sicuramente restituirebbe la giusta dignità ad un ambiente che ha subìto, a causa della scellerata azione umana, una immeritata damnatio memoriae.
Massimo Luigi Cesare
* Campagna del FAI – Fondo Ambiente Italiano – Luoghi del Cuore 2020. E’ al 2315° posto con 57 voti (alla data del 26 novembre 2020)
** Campagna del FAI – Fondo Ambiente Italiano – Luoghi del Cuore 2020. E’ al 2146° posto con 62 voti (alla data del 26 novembre 2020)
Recuperare questo sito storico millenario è recuperare la memoria dei nostri avi che hanno scritto pagine di gloria, per arte, bellezza e cultura.