La Villa Comunale l’ho scoperta tardi. Prima di verde nella mia vita c’erano solo il colore preferito di mia madre, il giardino di casa, i giardinetti di piazza Salvatore di Giacomo, i modesti oleandri della Scuola Cimarosa, il cortile della scuola media (Della Valle in via Belsito), non degno di nota. Il Parco Virgiliano era per me solo il luogo della fatica e del sudore con i 5 allenamenti settimanali al tennis club di viale Virgilio.
Così la Villa Comunale è entrata nella mia vita che avevo già 19 anni, allora che mi sposai, trasferendomi a Chiaia, e cominciai a portarvi a passeggio in lungo e in largo la mia prima bambina. L’ho amata subito per la vicinanza al mare, con quella bellezza sempre sul punto di scomparire, come la grazia di cui ci parlava Cristina Campo. Così idonea alla lettura con la sua quiete mattutina: tanti sono stati i libri che ho divorato in questo giardino con la bambina addormentata nell’Inglesina.
Degradata, ma sempre molto vissuta, ripulita, restaurata, poi di nuovo abbandonata. In una alternanza di cure e trascuratezze, seguendo le curve di attenzione delle diverse giunte che in 34 anni si sono alternate al vertice della città. E quante lotte civiche ha richiesto sui temi più disparati: passaggio dei motorini all’interno, pavimentazione, recinzione, illuminazione, volumi dei bar… e poi ancora il Circolo della Stampa, la Cassa Armonica, la vegetazione infestante, la palma del Cile da salvare, i busti dei “padri” della città condannati al degrado, con le fontane oltraggiate, imbrattate, o mute per l’assenza d’acqua, gli infiniti cantieri e le griglie di ariazione della Linea 6.
Mia figlia ci giocava dolcemente in questo giardino. Amavamo il cerchio della Fontana della Tazza di Porfido, protette dalle statue delle quattro stagioni con i platani ed il sedile in marmo su cui ci disponevamo tranquille. Nelle migliori sorti della città, comparvero le paperelle nella fontana ed era una festa.
Fu con la venuta del figlio maschio che conobbi purtroppo il calcio giocato nel viale centrale della Villa, quando ancora non era vietato, e poi, con il nuovo regolamento, la lotta impari tra me e lui perché in Villa a calcio non si poteva giocare ma lui che, oramai ci andava da solo e con gli amici, ci giocava ugualmente nascosto con i suoi compagni verso piazza della Repubblica ma anche all’inizio da piazza Vittoria, nell’angolo verso il mare, o appena fuori. Una lotta senza confini tra i guardiani di allora, più solerti degli attuali, e queste bande di ragazzini, in fondo con la loro innocenza del pallone, in una città così poco ospitale per l’energia ribelle dell’adolescenza.
Da sempre difficile la sorte di questa passeggiata nata reale, poi diventata parco pubblico, conservando l’allestimento ed il patrimonio storico di vegetazione e sculture. Difficile coniugare la tutela e la funzione di un giardino comunale, necessario ad un quartiere con così poco verde pubblico, ma anche utile ad una città, il cui patrimonio di parchi e giardini è oggi assai scadente.
Qualunque azione, per risollevarla dal degrado, dovrà oggi ripartire dall’applicazione del “Regolamento per la fruizione” che già esiste, ma che nei fatti non è rispettato e fatto rispettare.
Accanto a questo, bisognerà sforzarsi di creare nel quartiere, in aree diverse dalla Villa Comunale:
– un luogo per il calcio, ad esempio nel cortile della scuola materna di via Carlo Poerio angolo via Bisignano, ora adibito a parcheggio di automobili;
– un’area per i cani affinché le aiuole a verde della Villa non vengano deturpate da scavi e spargimenti di escrementi con le zampe. Tema più difficile a realizzarsi ma che potrebbe trovare un iniziale momento di sfogo nell’aiuola di piazza San Pasquale, dotandola di cestini ed appositi sacchetti.
Una cosa è certa: non ci sarà restyling che tenga se la Villa Comunale non vedrà una partecipazione al suo decoro da parte di tutti i cittadini, oggi non sempre consapevoli di trovarsi in un giardino storico, protetto da più tutele, che nessuno esercita più.
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